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Other Criteria – The Flatbed Picture Plane
di Giacomo Belloni
I borrow the term from the flatbed press - “a horizontal bed on which a horizontal printing surface rests”. And I propose to use the word to describe the characteristic picture plane of the 1960s-a pictorial surface whose angulation with respect to the human posture is precondition of its changed content. Leo Steinberg
Sono altri criteri quelli con cui Steinberg decide di misurare i grandi stravolgimenti che, in campo artistico, hanno contraddistinto la dinamicità degli anni '50. Il suo saggio si contrappone alla tesi di Greenberg e a quei principi che quest'ultimo aveva esposto nel suo scritto Modernist Paintings del 1961. Steinberg obietta l'assunto che la piattezza (flatness) della superficie e la conseguente mancanza di profondità spaziale sia la grande novità introdotta nel mondo dell'arte per esprimere la modernità sulle opere, già a partire dagli anni 70 dell'Ottocento, e per divenire esplicita e matura con la pittura americana del secondo dopoguerra, attraverso la scuola di New York.
Steinberg non accetta l'idea di Greenberg secondo cui tutta l'arte prima del Modernismo, quella espressa da quelli che chiama i Maestri del passato, fosse basata sull'inganno dello spettatore perpetrato attraverso la simulazione pittorica di illusioni, nascondendo quanto più possibile i procedimenti ed i mezzi pittorici, utilizzando insomma l'arte per celare l'arte (using art to conceal art). I Modernisti, secondo Greenberg, avrebbero completamente ribaltato questa prassi con una pittura capace di esprimersi attraverso la piattezza della superficie, la forma del supporto, le proprietà dei pigmenti.
Steinberg non è d'accordo nemmeno sul fatto che l'illusionismo pittorico dei Maestri del passato sia stato utilizzato per dissimulare i processi ed i mezzi dell'arte. Porta come esempio un disegno di Rembrandt e fa notare come questo faccia risaltare sia il medium - la carta - che il procedimento - l'inchiostro.
Donald Judd, utilizzato da Steimberg per rafforzare la sua tesi, affermava che le opere dell'Espressionismo Astratto americano gli suggerivano invece profondità spaziale ed ariosità, e non flatness, come sosteneva Greenberg.
Steinberg quindi specifica di come la percezione dell'illusione spaziale vada di pari passo con l'evoluzione del concetto di locomozione: nell'era delle esplorazioni spaziali l'intrusione dello spettatore nella dimensione pittorica può solo essere immaginaria e non potrà mai essere la stessa dell'uomo del Seicento, la cui locomozione – e quindi le proprie potenzialità – erano molto più contenute, di conseguenza avrebbero concesso tutt'al più le medesime possibilità tra la dimensione reale e quella illusoria dell'opera.
Secondo Steinberg tutta la pittura degli ultimi 600 anni ha richiamato l'attenzione sull'arte: i Maestri del passato hanno dipinto con l'intento – al contrario di quanto afferma Greenberg – di mettere tra virgolette la propria arte introducendo elementi evidenti in grado di ricondurre al fatto che le opere erano elementi estranei alla realtà, artifici evidenti proprio per richiamare l'attenzione sull'arte. Ecco allora i cambiamenti di scala, differenti livelli scenografici o, come per Las Meninas, un gioco di dimensioni al quale partecipa addirittura lo spettatore. In altri casi firme o scritte dichiarano l'artificiosità dello spazio pittorico o cornici chiamate in causa proprio per essere confine tra due differenti livelli (Greenberg porta l'esempio del Tondo Doni, disegnato dallo stesso Michelangelo per tal fine).
Insomma, secondo Steinberg non è possibile differenziare il pregresso dal Modernismo attraverso un unico semplice concetto. Nozioni come piattezza della superficie pittorica o illusionismo non sono sufficienti a recepire le reali complessità complessità. Ogni arte a partire dal 300 ha la piena consapevolezza di se stessa e ridurre a piattezza o illusionismo vuol dire, secondo Steinberg, perdere di vista molti altri e più importanti aspetti.
A partire dagli anni 20 del ventesimo secolo il modello industriale proposto dalla tecnocrazia, oramai assimilato e divenuto dominante nella coscienza collettiva, marginalizza i criteri utilizzati in precedenza: linea, forma, colore, luce. Adesso sulla superficie si confondono figura e sfondo in quanto parti di una stessa unità, esattamente come stava accadendo a Detroit con le automobili: pezzi uniti per costituire un'unità completa, emblema della simbiosi delle parti. Pollock e Louis sono vicini agli ideali che regolano la produzione delle macchine, intese appunto come sommatoria di elementi uniti in un elemento sommatorio.
È a questo punto in cui Steinberg arriva al punto focale del suo saggio ovvero al flatbed. Il quadro - scrive - deve essere visto dalla parte dell'osservatore e non analizzato in funzione di una sua coerenza interna. Diviene determinante il suo orientamento rispetto all'uomo.
Ecco che intorno agli anni 50 accade qualcosa di completamente nuovo nei lavori di Robert Rauschenberg e di Dubuffet: nei loro dipinti non simulano più campi verticali ma opaque flatbed horizontals. Uno stravolgimento di 90 gradi consente di recepire superfici piane:
The flatbed picture plane makes its symbolic allusion to hard surfaces such as table tops, studio floors, charts, bulletin boards,—any receptor surface on which objects are scatered, on which data is entered, on which information may be received, printed, impressed—whether coherently or in confusion.
Il fatto che Pollock lasciasse cadere il colore sulla tela stesa a terra è solamente un espediente tecnico e nulla ha a che vedere con le sperimentazioni successive. Anche Picasso lascia ancora trasparire nei suoi collages cubisti elementi che riconducono ad una figurazione rinascimentale la quale afferma la verticalità quale condizione essenziale. Anche i pittori della scuola di New York continuano questa tradizione ed i loro quadri si orientano a noi verticalmente, from head to foot. Per questo Steinberg sostiene che gli Espressionisti Astratti siano ancora nature painters.
Secondo Steinberg le opere degli ultimi anni insistono su un nuovo e radicale orientamento in cui la superficie dipinta non è più una esperienza visiva della natura ma di processi operativi, insomma, il passare dalla natura alla cultura (the shift from nature to culture). Ciò era già stato annunciato sommessamente dalle Ninfee di Monet, dalle opere di Mondrian o dai collages di Schwitters. Determinante è stato l'uniformarsi della superficie di lavoro alla scala umana, ambientale il cui precursore è stato senza dubbio Duchamp sia con Le Grand Verre che con Tu m'. Naturalmente i Ready Made mantenevano la scala naturale propria dell'oggetto reale e rientrano appieno in questa classifica.
La prima opera di Rauschenberg ascrivibile al concetto di Flatbed è il suo White painting with numbers (The Lily White) del 1949, una vera e propria superficie di lavoro senza riferimento alcuno al mondo reale. Quindi gli esperimenti con superfici cianografiche lasciate al sole su cui venivano posti oggetti; addirittura una zolla d'erba da esporre verticalmente in galleria.
Celeberrimo è l'aneddoto che cita di quando Rauschenberg cancella un disegno di De Kooning a dimostrazione della radicalità del completo stravolgimento del piano pittorico.
Il Flatbed si riferisce ai piani sui quali si cammina, dove si lavora e dove si dorme o ad una superficie con valore documentale. L'utilizzo di Rauschenberg di fotografie apposte sull'opera aveva lo stesso fine anche se, nel caso queste accennassero anche minimamente ad una profondità spaziale, venivano immediatamente macchiate di vernice per ridar loro la necessaria piattezza.
Le opere di Rauschenberg volevano dare la sensazione di elementi in disordine, così come potrebbe esserlo una scrivania od un pavimento non spazzato.
Nell'opera Third Time Painting del 1961 l'orologio è volutamente a sfavore dello spettatore proprio per evitare qualsiasi malinteso. Nel 1955 Rauschenberg verticalizzò addirittura il suo letto e lo appese alla parete, ma solo dopo averlo dipinto.
Jasper Johns disse una volta che Rauschenberg era stato l'uomo che, più di Picasso, ha inventato di più in questo secolo.
Dopo di lui altri si sono uniformati alla modernità del flatbed: Roy Lichtenstein con i suoi punti del disegno stampato come fossero i fumetti in voga; Dubuffet, per aver reso la sua superficie reale con la materia ed i segni che portava su di sé, Claes Oldenburg e, Andy Warhol:
In the Warhol canvases, the image can be said to barely exist […] Here there is actually a series of images of images […] and this final blurring and silkscreening in an imposed lilac color on canvas […] Before the Warhol canvases we are trapped in a ghastly embarrassment. This sense of arbitrary coloring, the nearly obliterated image and persistently intrusive feeling.
L'opera concepita come l'immagine di un'immagine ci dà la certezza che non vi è relazione diretta con lo spazio reale.
io@giacomobelloni.com
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per approfondimenti si consiglia la lettura del libro:
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