Il_Ponte
Pubblicazione del 28 novembre 2023
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Emilio Scanavino: "Tempo di preghiera"
di Giacomo Belloni
 
Fermiamoci, è
“Tempo di preghiera”. È’ tempo di ammettere i nostri limiti e che oltre questa coltre brumosa di razionalità proprio non possiamo andare. È giunto il tempo di rivolgersi a Dio per comprendere la nostra essenza, quella immutabile e atemporale.
È tempo di abbandonarci alla supplica per sciogliere le ingannevoli certezze, per lasciarle cadere, una dopo l’altra, come fragili foglie secche nell’autunno della nostra caducità. Fuggire dalle imposture di una ragione che altro non ci propone se non gli apollinei inganni di quell’esteriorità che ci tiene sospesi nello smarrimento e nella confusione.
E chiediamo aiuto. E lo chiediamo rivolgendo il nostro sguardo smarrito e perduto verso l’alto, al cielo, a Dio.
Nel preciso istante in cui ci abbandoniamo alla preghiera la tensione vola via per lasciare spazio a una pace primigenia, a una tranquillità silenziosa che cancella ogni intrusione, ogni impedimento, dove i nostri occhi smettono di vedere e l’immaginazione si espande alle infinte possibilità della sensibilità.
Il tempo della preghiera è la meritata tregua dall’angoscia dell’incompreso, è una cesura temporale che ci ricongiunge con il noumeno, con la nostra essenza ancestrale, con la dimensione da cui originiamo, la dimensione da cui tutto proviene. Non appena comprendiamo che le risposte semplici di un
mondo di rappresentazione non ci accontentano più, pregare diviene una necessità inevitabile e indifferibile.
Allora iniziamo a cercare lontano, laddove gli occhi non vedono.
“Dammi tu la forza di cercare, tu che hai fatto sì di essere trovato e mi hai dato la speranza di trovarti con una conoscenza sempre più perfetta”. (Agostino, La Trinità, 15,51)
Noi spettatori inermi, in fuga perenne da una finitudine che non comprendiamo, dalla conclusione inesorabile della materialità, cerchiamo di avvicinarci alla “
conoscenza sempre più perfetta” per riuscire a sopravvivere in questo disordine. Ma più ci avviciniamo e più l’intima essenza delle cose sfugge. Null’altro possiamo fare che cercarla nello stato di raccoglimento che la preghiera ci dona. Ci riconciliamo con Dio e la sua conoscenza perfetta mentre ci abbandoniamo al suo abbraccio genitoriale, protettivo, e all’odine di una dimensione amorevole e primordiale alla quale sentiamo di appartenere da sempre.
Con
“Tempo di preghiera” Scanavino ci accompagna in un trascinante cammino spirituale alla ricerca di noi. Come nessun altro è capace di cogliere la nostra essenza per farla emergere in forma visiva–nell’opera–e mostrarci ciò che c’è dietro l’inganno dell’apparenza.
Egli esplora e svela ciò che non ci è manifesto, ma che ci è solo lontanamente percepibile. Si offre a noi come intermediario colto, per mostrarci ciò che non riusciamo a comprendere fino in fondo, ciò che è lì, sospeso dentro di noi, avvertibile, ma mai completamente raggiungibile.
Scanavino è un artista profondamente credente. La sua pittura è permeata da una sottesa e diffusa spiritualità. In
“Tempo di preghiera”, le forme, i segni graffiati, le matasse, le linee e i grovigli, insieme alla grande campitura cinerea, sono i vocaboli di un linguaggio che ci accompagna in un percorso intimo e articolato alla ricerca di significati autentici, religiosi. Significati che fluttuano e si avvicendano, come in un incessante movimento di sistole e diastole, tra i limiti del visibile e l’inafferrabilità dell’intangibile. Frammenti di una Verità rivelata, finalmente, alla finitezza del mondo fenomenico.
“Tempo di preghiera” gioca sulla relazione formale dell’alternanza degli inserti laterali e il pieno della grande area monocroma centrale. Il forte contrasto tra queste due dimensioni segna il confine tra la sfera sensoriale e quella trascendente. Scanavino squarcia quel velo rigoroso che separa la realtà empirica per farci entrare nell’alterità noumenica. E lo fa aprendo una porta verso l'infinito, laddove Dio ci parla, ma non attraverso le parole. L’artista evidenzia i lemmi di un idioma che va oltre il razionale e che comunica senza mediazioni alla nostra sensibilità più recondita, laddove il linguaggio non è ancora emerso, laddove non si è ancora strutturato.
Frammenti significanti di percezioni ed emozioni che ci ricongiungono con quelle autenticità sepolte nelle nostre più appartate e imperscrutabili profondità, che ci riuniscono con quella conoscenza atavica rimasta sepolta sotto le consuetudini di comodo e le costruzioni posticce e menzognere accumulate nel tempo.
Scanavino ci rimette in contatto con ciò che c’è oltre quel muro grigio, ciò che, grazie alla preghiera, ci ricongiunge a Dio e le sue rassicurazioni. La porta centrale al centro dell’opera, e la lunetta sopra di lei, apre su sciabolate bianche, squarci di luce che rassicurano e simboleggiano che questa è la strada giusta da seguire per uscire finalmente da questo stato di afflizione, per il quale non troviamo conforto e consolazione se non attraverso una devota implorazione. 
È
“Tempo di preghiera”. La porta è finalmente aperta, aperta sul dipinto e aperta in noi, nella nostra coscienza. Perché solamente così possiamo continuare a cercare ciò che ci mancava e raggiungere finalmente il Signore.
“Come ti cerco, dunque Signore? Cercando te, Dio mio, io cerco la felicità della vita. Ti cercherò perché l’anima mia viva. Il mio corpo vive della mia anima e la mia anima vive di te”. (Agostino, Confessioni X, 20, 29).

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