Testo pubblicato su Catalogo di mostra
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Perché estroflessione
di Giacomo Belloni

L'estroflessione non era l'unica via per uscire dal periodo espressionista del dopoguerra, in cui ogni forma naturalista era stata volutamente messa a latere a vantaggio di un'espressione informale più immediata. Dal momento in cui era scoppiato il secondo conflitto mondiale, il dipingere era diventata una necessità inconscia per l'artista, una possibilità insostituibile di far uscire il fantasma che aveva dentro e per consentire al trauma della guerra, da poco conclusa, di essere liberato dalla prigione della sua sensibilità. Verso la metà degli anni '60, le possibilità per emanciparsi da questa situazione erano molte, ma quella dell'estroflessione è stata senza dubbio quella che, meglio di altre, sarebbe stata capace di dissotterrare un discorso lasciato in sospeso alla fine degli anni '30, senza però scadere nella ripetizione o nella "maniera".
Estroflettere era una delle più credibili possibilità della fine degli anni 60, dopo che il l'
informel aveva esaurito tutti i suoi argomenti e tutte le proprie ragioni. Tutto questo in un paese, il nostro, finalmente non più slegato dagli avvenimenti delle avanguardie, come invece era avvenuto fino a solamente pochi anni prima, quando l'Italia era rimasta per lungo tempo isolata dal mondo della cultura europea e mondiale, a vantaggio della propaganda di regime che non avrebbe mai consentito alcun confronto destabilizzante.
Negli anni 60 l'Italia si confrontava finalmente con il resto del mondo, con le ricerche Americane dei Minimalisti, di Frank Stella e con gli artisti europei. L'estroflessione era finalmente la giusta risposta nel periodo del tramonto del pessimismo postbellico.

L'arte ha sempre visto l'alternanza tra chi ha proposto il mondo in termini mimetici e chi invece si è espresso con segnica automatica, istintiva, immediata od astratta, ovvero di chi ha lasciato parlare - al posto di un'apparenza considerata inattendibile - la concettualità che stava dietro i propri pensieri. Nei periodi storico-sociali in cui la riflessività e l'interiorità sono state predominanti sulle riflessioni dell'uomo, l'arte ha sempre considerato meno la possibilità di voler essere specchio della vita, ed ha messo così da parte le forme riconoscibili. Per tutta la sua esistenza ha quindi vissuto dell'alternanza tra figurativo e concettuale; generalmente tanto più si esprime nel disincanto e nella riconoscibilità della forma di stampo naturalista tanto meno si ha bisogno del concetto, perché tutto ciò che è evidente non ha bisogno di essere spiegato in altri termini. Nei momenti di riflessione l'uomo si è espresso distorcendo, allungando, confondendo, alla ricerca di un'altra verità lontana dall'occhio e dall'inganno delle apparenze. L'artista ha quindi scavato, è entrato nelle proprie profondità, ha cercato di rifondare la realtà partendo da nuovi presupposti.

Poi è arrivato Fontana ed ha cancellato tutto quello che era stato fino a quel momento. Ha bucato, ha tagliato, è andato oltre. Ha reso l'opera parte del mondo squarciando il velo, rompendo la barriera, eliminando quel confine che la faceva esistere in una dimensione estranea.
Con Fontana l'opera è divenuta parte del mondo, oggetto reale nel reale. Il buco di Fontana era il varco fisico-concettuale che univa le due dimensioni. D'altronde, se era necessario trovare uno stadio zero, un nuovo punto da cui partire, con il buco - od il taglio - si azzerava completamente qualsiasi finzione prospettica, e con essa ogni menzogna. Si poteva così ricominciare da capo con una visione finalmente più ottimistica e positiva, una visione espressa nell'opera d'arte che, adesso, si proponeva come elemento plastico nella dinamicità degli stessi eventi del proprio spettatore. Un nuovo realismo che era forte della condivisione dimensionale con una realtà tangibile nella quale l'opera non voleva altro che essere se stessa, null'altro che se stessa. Un oggetto eloquente in un mondo di oggetti; un oggetto in grado di esprimersi unicamente attraverso le proprie possibilità e non più come un supporto passivo.
Tutti sapevano che sarebbe bastato anche solamente un solo piccolo segno, un punto, una linea, disegnati o pennellati, per suggerire involontariamente un paesaggio, un volto, un corpo, una prospettiva e fare scadere l'opera nel precedente stato di confusione. Anche solo un graffio sarebbe stato un'allusione, un riferimento, un indizio, un sottinteso che la avrebbe fatta riprecipitare nella dimensione della finzione, estraniandola nuovamente dalla sincerità raggiunta. Alla luce dell'insegnamento di Fontana, tutti coloro che hanno avuto la capacità di recepire la completezza delle sue conquiste concettuali si sono ben guardati dal commettere le stesse leggerezze degli anni precedenti, e, consapevoli di quanto raggiunto, hanno evitato di rilanciare nuovamente l'inutilità delle forme mendaci. Nemmeno l'astrazione geometrica era ora più capace di prescindere da quell'abitudine dello sguardo e cancellare l'assuefazione a cercare involontariamente sulla tela sempre qualcosa di riconoscibile, un appiglio per una narrazione visiva.
A valle del "buco" di Fontana la tela doveva trovare quindi nuove modalità espressive e, se il segnarla la faceva scadere nuovamente al ruolo rinascimentale di "
finestra sul mondo", il piano pittorico doveva ora essere misurato, essenziale, quasi pudico, e la sua naturale evoluzione non poteva essere altro che il monocromo. Pulito, sobrio, terso, primario, essenziale, anche se da solo non più sufficiente. Nulla di più perfetto della tela estroflessa, ancor meglio se in monocromo.

Se il colore altro non è che una risposta dell'occhio alla luce che impatta l'oggetto, Amadio, come Simeti, anche in questo caso hanno evitato volutamente ogni inganno. Le loro sue superfici sono il risultato di un sapiente ed attento utilizzo del materiale, nonché della profonda conoscenza della materia. Simeti e Amadio muovono le superfici, le piegano, le distorcono. Come fossero paesaggi lunari, le fanno danzare, dando luce a nuove possibilità di dialogo, nuove preziose occasioni espressive. Cambiano continuamente l'angolazione, muovono la tela affinché la luce stessa restituisca allo spettatore riflessi sempre differenti, ombre sempre più calde, sfumature sempre più eloquenti.
I riflessi e le ombre che si formano sulle loro estroflessioni creano da sole un disegno sempre differente attraverso le mille possibilità che fuoriescono da un singolo colore.
Eccolo allora l'entusiasmo della realtà immediata, sincera, finalmente scevra da qualsiasi implicazione inutile e mendace!

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"È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?" Dostoevski, L'Idiota

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