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GRUPPO DEGLI OTTO (1952 - 1954)
di Giacomo Belloni
"...appartengono alla generazione che giunse ora alla maturità: sono tutti tra i 30 e i 45 anni. [...] Essi non sono e non vogliono essere degli astrattisti; essi non sono e non vogliono essere di realisti: si propongono di uscire da questa antinomia [...] adoperano quel linguaggio pittorico che dipende dalla tradizione iniziatosi attorno al 1910 e comprende l'esperienza dei cubisti, degli espressionisti e degli astrattisti. [...] non sono dei puritani in arte, come gli astrattisti.
Lionello Venturi, 2 maggio 1952
Nel 1952, otto pittori non figurativi italiani: Afro Basaldella, Renato Birolli, Antonio Corpora, Mattia Moreni, Ennio Morlotti, Giuseppe Santomaso, Giulio Turcato, Emilio Vedova, raccolti attorno al critico Lionello Venturi, costituiscono il Gruppo degli Otto. Sono artisti di differente formazione artistica e di diversa estrazione.
Si tratta di artisti, tutti con età intorno ai quarant'anni, la maggior parte dei quali proviene dall'esperienza del Fronte nuovo delle arti, terminata nel 1950, con la profonda ed irreparabile frattura tra realisti ed astrattisti, dove gli artisti non figurativi si trovarono in posizione minoritaria, impegnati a confrontarsi sia con la tradizione novecentista, che con le posizioni del realismo socialista. Gli anni successivi allo scioglimento del Fronte videro perciò varie forme di contatto e collaborazione fra chi proveniva da quell’esperienza e non allineati sull'ortodossia estetica marxista.
Nel 1950 Birolli, Corpora, Moreni, Morlotti, Santomaso, Turcato e Vedova espongono assieme alla XXV Biennale di quell'anno come ala non figurativa del Fronte Nuovo delle Arti, comnque non ancora riuniti in gruppo, cosa che avverrà nel 1952 quando si presentano alla Biennale di Venezia come Gruppo degli Otto. Questa partecipazione è accomapagnata dalla pubblicazione di una monografia, il cui testo della breve introduzione è scritto da Lionello Venturi, che accetta su richiesta di Corpora: essi non sono e non vogliono essere degli astrattisti; essi non sono e non vogliono essere dei realisti; si propongono di uscire da questa antinomia [...] adoperano quel linguaggio pittorico, che dipende dalla tradizione iniziatasi attorno al 1910 e comprendente l'esperienza dei cubisti, degli espressionisti e degli astrattisti [...] Se nel loro arabesco l'immagine di una barca o di un qualsiasi altro oggetto della realtà può essere inclusa, non si privano dell'arricchimento che quell'oggetto può dare alla loro espressione. Se essi sentono il piacere di una materia preziosa, di un accordo lirico di colore, di un effetto di tono, non vi rinunziano. Non sono dei puritani in arte, come gli astrattisti: accettano l'ispirazione da qualsiasi occasione e non si sognano di negarla".
Venturi riafferma la necessità di legare la cultura artistica italiana alla grande tradizione europea (soprattutto francese), riprendendo le istanze già sostenute dal Fronte Nuovo. Nello stesso tempo, egli sottolinea la libertà dell'espressione artistica ed il primato della coerenza formale dell'opera d'arte rispetto ad ogni condizionamento ideologico, in un momento nel quale il dibattito tra realisti ed astrattisti è fortemente connotato da istanze ideologiche.
Venturi aveva già precisato la sua posizione teorica sull'astrazione definendo, in un articolo del 1950, la poetica dell'astratto-concreto. Con questo termine egli indica una astrazione che non rifiuti il rapporto con la natura e l'interiorità dell'artista, differenziandosi in questo dall'astrattismo geometrico. D'altra parte Venturi intende distinguersi anche dalla radicalità dell' art autre informale, rivendicando la necessità di un principio di controllo formale dell'artista sull'opera.
È oramai un dato accettato, che gli Otto non mostravano una grande omogeneità stilistica, e che non tutti rientravano appieno in un ambito "astratto-concreto".
La Biennale del 1952 diviene una nuova occasione di confronto con i realisti. La opere di Afro, Corpora, Birolli, Morlotti e Vedova si contrappongono a quelle di Guttuso, Migneco, Treccani e Pizzinato.
Oltre a loro va notata la marginale presenza di Turcato, Santomaso e di Mattia Moreni.
Nei due anni successivi, gli Otto lavorano spesso assieme in varie mostre ed iniziative, in Italia ed all'estero. Nel 1954, si registrano le uscite di Morlotti e Moreni (che si avvicinano ad Arcangeli ed ai suoi Ultimi naturalisti), poi di Vedova, ed infine il gruppo si scioglie. I suoi componenti proseguono autonomamente la loro evoluzione artistica, che farà di ciascuno di essi un protagonisti fondamentale della pittura italiana del dopoguerra.
E' tra il 1953 ed il 1954 che si pone forse, per Roma, il passo cruciale verso una modernità; l'opera al dubbio ruolo che aveva avuto in eredità dal dopoguerra disperso in voluttà inessenziali di enunciazioni ideologiche: di farsi referenziale di una realtà altra da sé, oggettuale o mentale poco conta, in tal senso. L'oscuro fantasma di un "contenuto" - provenga esso, identicamente, da una militanza politica, da un'urgenza di impegno civile o al contrario dalla programmatica adesione al suo contraltare di pura speculazione formale - s'eclissa.
L'opera [...] non sarà più soltanto specchio ricettivo di un'immagine comunque esterna, ma coagulo di risultanze, non mai interamente preventivate, che sgorgano dalla dialettica fra intenzioni formative e potenzialità della materia, tra coscienza e avventura, tra progetto e destino.
Trascolorano i programmi, i manifesti, gli statuti indeclinabili.
Gli Otto sono espressione ultima di un modello scaduto di gruppo, indotto a stringersi da ragioni contingenti d’opportunità e di schieramento, spinto a cementarsi da una necessità tattica di confronto con il passo illusoriamente forte e vincente che, al 1952, sembra per un attimo tenere il fronte opposto del realismo […] La consapevolezza della fragilità del gruppo era di tutti.
A partire dal 1954 […] luce e materia si fondono in un organismo che anticipa, però su un piano personale, le conclusioni dell’estetica informel. (Apollonio)
Nel 1953-54 Corpora opera un decisiva rottura: l’intelaiatura si spezza e, attraverso una elaborazione della materia cromatica, perviene a una forma tutta inventata in funzione dell’emozione […] la memoria in Afro frastorna la iattanza, l’arroganza e la presunzione del reale. Turcato, che ha radici in parti diverse, ne accantona le risultanze di quel primo orientamento sul nuovo che Forma 1 aveva avviato a Roma […] Capogrossi sceglie un segno, più che uno strumento per uno scavo rabdomantico nelle regioni dell’inconscio, sia pietra da costruzione di una solare architettura della mente […] Burri, e quel suo segnare la materia in modo, peraltro, così difforme da Capogrossi: facendo delle ulcerazioni, dei tagli, degli scavi […] il segno della Accardi, presto racchiuso nella scelta radicale e indeclinata del monocromo […] Sanfilippo, che “ha una mano leggerissima e lavora di punta come un fiorettista […] Achille Perilli volge la sua pittura a prevalenti interessi segnici. Pictur doctus, Perilli […] per questa sua lucida determinazione concettuale che la sua pittura tardò qualche tempo ad assumere un suo volto ultimamente definito […] Dorazio precocemente seppe essere della pittura di solo colore […] la plenitudine del colore debba avere un suo contraltare nella capacità della luce di rivelarlo […] opposta è la pittura di Toti Scialoja.
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