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The Flatbed Picture Plane
di
Giacomo Belloni *

“I borrow the term from the flatbed printing press - “a horizontal bed on which a horizontal printing surface rests”. And I propose to use the word to describe the characteristic picture plane of the 1960s a pictorial surface whose angulation with respect to the human posture is precondition of its changed content.” (Leo Steinberg, 1968)

Sono
altri criteri quelli con cui Steinberg decide di misurare i grandi stravolgimenti che, in campo artistico, hanno contraddistinto l’arte americana negli anni '50.
Leo Steinberg introduce per la prima volta il concetto di
Flatbed Picture Plane in una conferenza tenuta al Museum of Modern Art di New York nel 1968. Il Flatbed Picture Plane viene quindi pubblicato nel 1972 su Artforum, e successivamente inserito nell’antologia Other Criteria.
Il concetto vuole contrapporsi alle tesi che Greenberg aveva esposto nello scritto
Modernist Paintings del 1961. Steinberg obietta la tesi secondo la quale la piattezza (flatness) della superficie pittorica, con la conseguente mancanza di profondità spaziale, sia stata la grande novità introdotta con l'arte Modernista, già a partire dagli anni ’70 dell’800. La bidimensionalità era lo schema espressivo capace di comunicare le specificità di un mondo contemporaneo in profonda evoluzione e mutazione. Questa modalità è proseguita fino alla pittura americana del secondo dopoguerra, con i pittori della scuola di New York.
Steinberg non accetta l'idea di Greenberg secondo cui tutta l'arte prima del Modernismo, fosse basata sull'inganno dello spettatore perpetrato attraverso la piena simulazione, per mezzo dell’uso di tecniche illusorie, celando dietro l’ingannevole apparenza ogni traccia di tecnicità, utilizzando insomma l'
arte per celare l'arte. I Modernisti, secondo Greenberg, avrebbero interamente ribaltato questa prassi utilizzando un'espressività capace di restituire la loro contemporaneità per mezzo della piattezza della superficie, della forma del supporto e delle proprietà dei pigmenti.
Steinberg si dissocia da lui anche sulla tesi che l'illusionismo pittorico dei Maestri del passato sia stato utilizzato per dissimulare i processi artistici e i mezzi. A sostegno delle proprie argomentazioni porta un disegno di Rembrandt, facendo notare come questo faccia risaltare, e non intenda occultare, né il medium – la carta – tantomeno la tecnica utilizzata – l'inchiostro.
Donald Judd, chiamato in causa da Steimberg, affermava che le opere dell'Espressionismo Astratto gli suggerivano grande profondità spaziale ed ariosità, e non la piattezza sostenuta da Greenberg.

Steinberg quindi tiene a chiarire come, nel tempo, la percezione della spazialità si estenda parallelamente al concetto di locomozione. Nell'era delle esplorazioni cosmiche l'intrusione dello spettatore nella dimensione pittorica può essere immaginaria; non potrà mai essere quella dell'uomo del Seicento, la cui locomozione – e quindi le sue possibilità – erano contenute, per cui concedevano illusorietà limitate, al massimo al pari a quelle della realtà visibile.

Per Steinberg tutta la pittura degli ultimi seicento anni ha volutamente richiamato l'attenzione sull'arte: i
maestri del passato hanno dipinto con l'intento – al contrario di quanto afferma Greenberg – di mettere tra virgolette la propria arte, incorniciandola e inserendola nel mondo come entità riconoscibile, e da questo ben separata.
Ecco allora i cambiamenti di scala, differenti livelli scenografici o, come per
Las Meninas, un gioco di dimensioni al quale partecipa addirittura lo spettatore. In altri casi firme o scritte dichiarano l'artificiosità dello spazio pittorico o cornici chiamate in causa proprio per marcare il confine tra due differenti livelli (Greenberg porta l'esempio del Tondo Doni, disegnato dallo stesso Michelangelo).

Insomma, secondo Steinberg non è possibile banalizzare ciò che è stata l’arte del passato e differenziarla dal Modernismo attraverso un unico semplice concetto. Nozioni facili come la piattezza della superficie pittorica o l’illusionismo non sono sufficienti a recepire le reali complessità di qualcosa che invece è estremamente più ampio. Ogni arte a partire dal ‘300 ha la piena consapevolezza di se stessa e le semplificazioni di Greenberg portano a perdere di vista altri e più importanti aspetti.

A partire dagli anni 20 del ventesimo secolo il modello industriale diffuso, oramai assimilato e divenuto dominante nella coscienza collettiva, marginalizza i
criteri estetici utilizzati fino ad allora: la linea, la forma, il colore e la luce non sono più sufficienti ad esprimere la dinamicità del periodo. Sulla superficie, figura e sfondo si confondono tra loro; sono parti di una stessa unità, esattamente come accadeva nell’industria delle automobili: pezzi assemblati insieme per costituire un'unità completa, emblema della simbiosi delle parti.

È a questo punto che Steinberg arriva al punto focale del suo saggio, al
flatbed.
Il quadro - scrive - deve essere visto dalla parte dell'osservatore e non analizzato in funzione di una sua coerenza interna. Diviene determinante il suo orientamento rispetto all'uomo.
Ecco che intorno agli anni 50 accade qualcosa di completamente nuovo, ed avviene con i lavori di Robert Rauschenberg e di Dubuffet: i loro dipinti non simulano più campi verticali ma
opaque flatbed horizontals. Uno stravolgimento di 90 gradi consente ora di recepire sull’opera le piane superfici orizzontali:

The flatbed picture plane makes its symbolic allusion to hard surfaces such as table tops, studio floors, charts, bulletin boards, - any receptor surface on which objects are scattered, on which data is entered, on which information may be received, printed, impressed - whether coherently or in confusion.

Il fatto che Pollock lasciasse cadere il colore sulla tela stesa a terra era solamente un espediente tecnico e nulla ha a che vedere con il
Flatbed. Lo stesso vale per i pittori della scuola di New York continuano questa tradizione ed i loro quadri si orientano a noi verticalmente, from head to foot. Per questo Steinberg sostiene che gli Espressionisti Astratti siano ancora nature painters.

Secondo Steinberg le opere degli ultimi anni insistono su un nuovo e radicale orientamento in cui la superficie dipinta non è più una esperienza visiva della natura ma è una superficie che
testimonia i processi operativi, insomma, il passare dalla natura alla cultura (the shift from nature to culture). Ciò era stato preannunciato sommessamente dalle Ninfee di Monet, dalle opere di Mondrian o dai collages di Schwitters. Determinante per questo cambiamento è stato l'uniformarsi della superficie di lavoro alla scala umana, ambientale il cui precursore è stato senza dubbio Duchamp sia con Le Grand Verre che con Tu m'. Naturalmente i Ready Made mantenevano la scala naturale propria dell'oggetto reale e rientrano appieno in questa classifica.
La prima opera di Rauschenberg riconducibile al
Flatbed è White painting with numbers (The Lily White) del 1949, una vera e propria superficie “operativa” che non porta con sé alcuna proposta illusoria.
Celeberrimo è l'aneddoto di Rauschenberg che cancella un disegno di De Kooning a dimostrazione della radicalità del completo stravolgimento del piano pittorico.

Il
Flatbed si riferisce ai piani sui quali si cammina, dove si lavora e dove si dorme o ad una superficie con valore documentale. L'utilizzo di Rauschenberg di fotografie apposte sull'opera aveva lo stesso fine anche se, nel caso queste accennassero anche minimamente ad una profondità spaziale, venivano immediatamente macchiate di vernice per ridar loro la necessaria piattezza.
Le opere di Rauschenberg volevano dare la sensazione di elementi in disordine, così come potrebbe esserlo una scrivania od un pavimento non spazzato.
Nell'opera
Third Time Painting del 1961 l'orologio è volutamente a sfavore dello spettatore proprio per evitare qualsiasi malinteso. Nel 1955 Rauschenberg verticalizzò addirittura il suo letto e lo appese alla parete, ma solo dopo averlo dipinto.
Jasper Johns disse una volta che Rauschenberg era stato l'uomo che nel XX secolo, ancor più di Picasso, ha portato la maggiore innovazione.
Dopo di lui, molti altri si sono adattati alla modernità del
Flatbed: Roy Lichtenstein con i suoi punti del disegno stampato come fossero i fumetti in voga; Dubuffet, per aver reso la sua superficie reale con la materia ed i segni che portava su di sé, Claes Oldenburg e, Andy Warhol:

In the Warhol canvases, the image can be said to barely exist […] Here there is actually a series of images of images […] and this final blurring and silkscreening in an imposed lilac color on canvas […] Before the Warhol canvases we are trapped in a ghastly embarrassment. This sense of arbitrary coloring, the nearly obliterated image and persistently intrusive feeling.

L'opera concepita come l'immagine di un'immagine ci dà la certezza che non vi è relazione diretta con lo spazio reale.

Giacomo Belloni
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per approfondimenti si consiglia la lettura del libro:

Alle origini dell'opera d'arte

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"È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?" Dostoevski, L'Idiota

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