Articolo pubblicato su
Schermata 2012-10-21 a 09.39.31_________________________________________________________________

UNO STRANO CAVALLO
di Giacomo Belloni

"Che strano dipinto. Raffigura uno strano cavallo, tutto scomposto, spezzettato, dinoccolato; un pezzo di qua ed un pezzo di l
à, un occhio sull'altro, un cavallo tutto storto, senza inizio né fine. Le orecchie sono mescolate ad altre parti, forse del corpo, forse no. Si fa una gran fatica a capire cosa siano tutte quelle forme, e se appartengano o meno all'animale. Eppure guardi quel dipinto e ci vedi proprio un cavallo, così vero e vivo come non lo hai mai visto, con i suoi movimenti, con i suoi pensieri da cavallo, con le sue sofferenze, con tutta la sua disperazione, con il terrore e lo strazio che porta con sé e che vorrebbe urlare in un gesto di ultima e definitiva liberazione".

E' stato quello il momento in cui mi è venuta in mente la frase di quel pittore spagnolo, quello famoso, Picasso, colui che dice di non essere mai stato un pittore astratto, perché con questo termine generalmente s’intende un prendere le distanze (quasi) completamente della realtà, mentre lui la realtà la tiene seriamente in considerazione, più di tanti altri.
In quest'opera la realtà viene recepita in tutte le sue sfaccettature, e il cavallo, se si prende un po' di tempo per osservarlo compiutamente, sembra essere raffigurato in maniera sorprendentemente più completa e veritiera di quanto potrebbe esserlo una fotografia. Viene qui rappresentata in un'unica visione una continuità di istanti che offre molte più informazioni di quelle che solitamente siamo abituati a ricevere da un’immagine convenzionale. Eppure, dalla determinatezza e dalla sicurezza delle forme dipinte, si capisce subito l'intenzione del pittore nel volersi distaccare dalla rappresentazione comune, rea di essere fedele solamente ad un'apparenza.
La pittura è una professione da cieco - diceva Picasso - uno non dipinge ciò che vede, ma ciò che sente, ciò che dice a se stesso riguardo a ciò che ha visto.
E' chiaro che qui si ha una completa reinterpretazione: gli elementi vengono scomposti per essere analizzati secondo una prospettiva differente, riassemblati tra loro affinché si possano mostrare simultaneamente più sfaccettature dello stesso soggetto, riprese in istanti diversi. Nell'opera lo spazio si appiattisce, si elimina la profondità perché non più determinante, così come il chiaroscuro, non più necessario per rappresentare la complessità metadimensionale della percezione moderna. Si cancella completamente la terza dimensione, perché lo spazio - così come siamo abituati a viverlo nella realtà - non esiste nel dipinto se non nella sua virtualità ottenuta attraverso segmenti obliqui o, in caso di volumi, attraverso linee curve. Il rilievo non c’è, è andato via
.
Solamente altezza e larghezza. La profondità prospettica viene compressa per lasciar spazio ad una differente raffigurazione, dove la rappresentazione finale vede i volumi ridotti a forme piane, poiché lo spessore cartesiano non rappresenta più ciò che si vuol raccontare. Addirittura i colori vengono a perdere il loro originario significato naturalistico.
La raffigurazione viene scomposta, destrutturata, spezzettata su piani facondi, perché il suo fine non è più quello di raccontare il mondo nella semplicità delle modalità illustrative.
Separando il colore ed il rilievo si opera un taglio nel rapporto uomo - mondo: non vi può più essere natura o mondo (G. C. Argan).
Picasso vuole rappresentare ciò che effettivamente c'è, che non è ciò che si vede "solamente". Dell'oggetto, del cavallo, si vuole offrire una conoscenza analitica, profonda, completa e rispondente; la si vuole trasferire sull'opera con tutte le sensazioni che porta con sé. Si nega (ancora una volta) il Rinascimento e la sua prospettiva, considerata limitante ed insufficiente per il grado di percettibilità raggiunto dall’uomo contemporaneo. Il mondo è cambiato e, dopo l'avvento del cinematografo con le sue immagini in movimento, dei raggi X che permettono una visione che va ben oltre la superficie, delle teorie di Einstein sulla relatività, ma sopratutto dopo Freud, non ci si accontenta più di una visione troppo scontata, oramai superata.
Si va al di là della semplice apparenza, poiché oltre la superficie c’è una verità esaminabile, una realtà che è possibile rendere nella continuità del tempo che le scorre addosso e che lascia con il suo passare un segno determinante e a volte sconvolgente perché
l'artista [...] è meglio di una macchina fotografica [...] attraverso la nostra conoscenza della sua realtà interna, l'oggetto diventa molto più della sua semplice apparenza (Jean Paul Sartre).
Il cavallo di Picasso emette un nitrito squassante che penetra come una lancia affilata nelle orecchie dello spettatore; i suoi occhi sembrano roteare vorticosamente alla ricerca di un conforto, di una certezza in un contesto che sembra non trovare punti fermi. La sua figura offre un dinamismo che si estende nel tempo, una sequenza d’istanti infiniti che prolungano un urlo di disperazione universale che non è quello solamente dell'animale, ma quello dell’uomo, un urlo che diviene emblema dell’impotenza del mondo difronte alla devastazione da lui generata.

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"È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?" Dostoevski, L'Idiota
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