Articolo pubblicato su l'Aperitivo Illustrato

Scritto critico edito sulla pubblicazione Real Arte per la mostra del dicembre 2010

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JONATHAN ALLEN: Frenetiche scomposizioni
di
Giacomo Belloni

I make mixed-media collages that combine imagery and materials from pop culture, current events, online, & everyday life into surreal worlds. These worlds are often fragmented & enigmatic, opening a window on our current social and cultural condition. 
Allen è l’interprete del dinamismo moderno, delle complessità del contesto urbano, delle frenesie del mondo contemporaneo.
Le sue opere hanno quella rara capacità di riuscire a semplificare il reale tanto da renderlo facilmente osservabile attraverso tutte le sue molteplici sfaccettature.
Allen sintetizza in immagini tutto ciò che le nostre menti non sono capaci di fare perchè troppo lente ad analizzare la realtà nel fluido divenire degli accadimenti. La nostra capacità percettiva non riesce a tenere il passo di una realtà tanto delirante, ansiosa, sempre in repentino cambiamento; le agitazioni del mondo di oggi vanno più rapide delle possibilità umane di mantenere il passo tellurico degli avvenimenti.
L’artista elabora e restituisce la dimensione moderna in immagini sintetiche ed emblematiche.
Siamo quotidianamente costretti a soccombere alle migliaia d’informazioni visive che ci circondano e non siamo capaci di farle nostre perché imprigionati nell’eccessiva lentezza che il processo di razionalizzazione impone; ci aggrappiamo all’unica certezza possibile, ovvero che la realtà che ci circonda è quella che si concretizza alla nostra percezione per mezzo dell’acquisizione ottica dello spazio circostante. Ma, mentre l’analisi del reale in movimento è rapida per l’occhio, rimane circoscritta per la mente che, costretta dalla sua modesta velocità analitica, si limita a recepire solo quanto è indispensabile per la propria sussistenza. Osserviamo con gli occhi e registriamo quello che vediamo solo inconsciamente e non a livello razionale.
Allen ci presenta l’immagine ultima, quella sintetica e, ce la offre insieme alla chiave per la sua lettura.
Jonathan smonta l’apparenza per mostrarci il mondo come se lo osservassimo attraverso il foro magico di un caleidoscopio, quello strumento che si serve di specchi, di pezzetti di vetro o di plastica per scomporre la realtà e ricreare immagini ammalianti attraverso infinite e mutevoli sfaccettature; immagini piene di forme e di colori che hanno la capacità di rinnovarsi in continuazione; basta muovere lo strumento per cambiare l’ovvietà del reale in meravigliose rappresentazioni costituite da brandelli ricomposti in un nuovo ordine, quasi surreale, sicuramente poetico.
Questo è ciò che fa Allen con le sue opere composte da frammenti elementari di un’apparenza sapientemente scomposta e ricomposta, utlizzando schemi sempre differenti; frammenti che sono comunque capaci di mantenere un comune denominatore: riproporre una visione diversa del contesto che ci circonda, un differente punto di vista.
D’altronde, che cos’è l’arte se non un’opportunità, per chi la sa cogliere, di decostruire il consueto e mostrare le limitazioni di un’apparenza scontata per offrire nuove possibilità d’interpretazione?
Allen non mistifica mai, non nasconde e non dissimula, non ne ha bisogno. La sua opera non è mai mendace o ingannevole. Egli disfa, smonta, spezza, sfascia, smembra, disgiunge per poi ricomporre insieme gli spezzoni di un mondo troppo scontato; reinterpreta sul piano dell’opera le frenesie di una New York contemporanea cristallizzandola su piani eloquenti e sintetici. La sua città è la nostra città; ovunque noi siamo riconosciamo nelle sue opere il nostro contesto urbano, quello che ci appartiene, accompagnato da tutte le contraddizioni che porta con sè.
Allen è l’interprete della nevrosi post-futurista, di quell’ansia dovuta al disagio tipicamente moderno che si prova nel dover emozionalmente mantenere in equilibrio un inconscio pulsionale ed una coscienza sociale eccessivamente regolamentata. Se l’
Es può essere identificato dalla deregolamentazione, resa lecita dall’istinto di sopravvivenza necessario nel contesto metropolitano ostile, l’Über-Ich è l’istanza razionalizzata intrappolata dai limiti degli schemi lineari ed ortogonali e dalle linee rette tracciate a matita. Allen funge da struttura mediatrice; come l’Ego regolamentatore egli sintetizza sulla tela il nostro rimanere attori precari, ma coscienti e presenti, nel contesto contemporaneo.
Egli è l’artista che, nella costruzione dell’immagine, rallenta il mondo alla velocità della percezione lasciandoci il tempo per osservare le nostre contraddizioni. Chi, curioso di fruire di nuove rappresentazioni osserva il suo lavoro, lo fà perchè ha bisogno delle frammentazioni del suo caleidoscopio creativo.
Egli scompone con abilità, ora in orizzontale, ora in verticale, ora confusamente; rigira e ribalta audacemente i propri frammenti per comunicare al fruitore ambiti percettivi eloquenti, differenziati e, finalmente analizzabili.
Il risultato finale, l’opera, diviene spiazzante; egli destabilizza la percezione cristallizzando il tempo dell’osservazione, condizione indispensabile per ritrovare l’orientamento e per riscoprire i riferimenti più elementari. Come in quei film dove, come per magia, il protagonista è l’unico a rimanere cosciente, l’unico capace di muoversi in mezzo ad un contesto reso immobile, dove l’istante viene bloccato e le figure rimangono plasticamente ferme nelle loro azioni. Egli ha il tempo di notare tutto, di muoversi liberamente tra gli altri uomini per fruire di ciò che normalmente non sarebbe stato possibile. L’artista compie la medesima operazione perchè conscio della necessità di rallentare alla velocità della percezione.

What does it mean to be alive in 2010? I want my work to speak to this question, and for that reason much of my source material is recognizable: an advertisement, a photograph, a painted color. I want to invite the viewer into a dialogue, and the entry point is something familiar, something you’ve seen. 

Allen non solo cristallizza nella singola immagine l’istante determinante ma propone piani d’osservazione eloquenti. Le sue opere non sono mai casualmente composte ma sono sintesi raffinate.
Per leggerle non basta mai un colpo d’occhio veloce e superficiale. L’
intero appare immediato ma, per godere delle sue complesse rappresentazioni, bisogna fermarsi e scoprire, attimo dopo attimo, le storie che ci racconta attraverso il gioco di frammentazione narrativa.
Poesia per l’occhio, lirica per la mente. Schegge posizionate sulla tela come sequenze ragionate e ricercate che raffigurano la contemporaneità attraverso uno scorrere ininterrotto di fotogrammi.

To me collage is not material specific and is rather a process of coalescing multiple media and/or imagery. The medium invites absurd jarring combinations; juxtaposition and dissonance are commonplace. I'm more interested in amplifying the formal connections and rich tonal disparity between several media, leaving the viewer to sort of how something was made and how it might connect conceptually. By rendering images in paint, photograph, ink and paper, the surface and its thematic intricacy becomes vividly fluid. This vitality and life is what I want my work to embody.

La tecnica del collage gli consente di utilizzare le immagini che già ci appartengono, che sono già nostre, già viste, assimilate e inconsciamente recepite. Il collage è lo strumento necessario per scardinare lo strapotere dell’immagine in quanto mezzo arrogante per l’occupazione dello spazio; scompone un reale preconfezionato in semplici pacchetti digeribili consentendo all’artista di creare nuove opportunità percettive.
Le sue opere sono quasi dei
ready made duchampiani, se non fosse per i successivi interventi pittorici. I suoi lavori non si concludono con la decontestualizzazione delle imagini “rubate” alla quotidianità ed emancipate dal proprio ambito originario. Allen frammenta la realtà, la scompone, la spezzetta per poi ricomporla secondo un ordine personale. L’illusione prospettica viene meno per creare un nuovo spazio completamente adimensionale, dove si concretizzano i suoi deliri surreali. La realtà viene completamente stravolta per lasciare posto a nuove visioni di fronte alle quali siamo costretti a meditare.
Le sue superfici adimensionali non sono mai monotone e scontate. Le densità delle sue immagini finite ci presentano la complessità della percezione di uno spazio
while moving around. D’altronde non sarebbe possibile vivere la metropoli americana – così come qualsiasi altra metropoli - senza considerare la velocità della vita che la muove, condizione che implica un inusuale necessità di adattamento per non soccombere e rassegnarsi ad un completo disorientamento.
Jonathan riesce a trasporre la metropoli sulle proprie opere prendendo in prestito l’immagine del quotidiano. Il linguaggio della città trova spazio sulla tela con tutte le sue particolarità espressive. Se le immagini di moda sono parte dei nostri spazi urbani, Jonathan ne rafforza la valenza comunicativa, se ne impadronisce sdrammatizzandola attraverso un gioco sofisticato di rimandi.
Le ricomposizioni hanno un sottofondo che agisce da legante. Quando l’artista interviene con il pennello lo fa per sostenere le sue composizioni a collage, dando spessore all’opera, creando veri e propri spazi autonomi, superfici complete senza ci sia mai alcuna necessità di confondere le immagini originali. Non ne cambia la funzione originale, traspare sempre ciò che erano; il processo compositivo rimane comunque evidente perchè ciò che interessa è la creazione di un’immagine che racchiuda in sè il dimamismo nel suo manifestarsi. E, per riproporre ciò, Jonathan deve mantenere evidenti tutte le fasi della realizzazione dell’opera.
Come già detto egli non ha bisogno di mistificare, di essere mendace. Allen è un artista sincero, artista che si svela sulla tela insieme alle regole lessicali che ne costituiscono poi l’immagine conclusiva. La sua sincerità artistica è disarmante, quasi ingenua, tanto da portarci ad abbandonare la malizia alla quale siamo abituati nel leggere le immagini del mondo che ci circonda.


Biografia

Jonathan Allen è nato a Neenah, nel Wisconsin, il 25 aprile del1975, ed è il sesto di nove figli.
È cresciuto a Roswell, in Georgia, negli Stati Uniti.
All'età di diciotto anni ha vinto una borsa di studio per studiare pittura alla Columbia University, e si è trasferito a New York, dove ha continuato a vivere anche dopo la laurea conseguita nel 1997.
Nelle sue opere d'arte Jonathan unisce magistralmente pittura, disegno e collage.
Nel suo lavoro intricato si mescolano diversi materiali e le immagini della vita quotidiana - compresa la pubblicità delle riviste e le immagini del mondo virtuale prese in prestito dal web - e tutte le immagini che fanno normalmente parte della contemporaneità, che l’artista ricompone in quelli che lui stesso chiama
deliri surreali. Questi deliri evocano, attraverso le sue frammentazioni a collage, tutta la poesia a lui necessaria per rendere la modernità che lo pervade.
Nel 2008 ha vinto il prestigioso premio della Pollock-Krasner Foundation, premio che consente agli artisti una sovvenzione per un intero anno, consentendo loro di concentrarsi unicamente sul proprio lavoro creativo. Questa vittoria ha permesso ad Allen di ampliare e sviluppare la sua tecnica distintiva, un misto originale fra collage e pittura, nella quale immagini e materiali vari vengono a  fondersi tra loro.
Lavora le sue tele nel Workspace Residency, il prestigioso studio - abitazione che si affaccia su Ground Zero. Questo studio è stato il primo dei due che il Lower Manhattan Cultural Council ha concesso ad Allen. Il Workspace Residency fa parte di un programma intensivo che dura un anno e che dà libero spazio ai migliori artisti di Manhattan. Nel programma, gli artisti vengono supportati dai più importanti curatori e dai migliori scrittori di New York.
Allen ha collaborato con molte importanti gallerie e ha mostrato le proprie opere nei più prestigiosi spazi espositivi di New York come il PS122, l’Artists Space, il Socrates Sculpture Park, l’Exit Art, la Rotunda Gallery, l’Oliver Kamm, il Caren Golden Fine Art, e il Lay-Up.
Ha partecipato inoltre al programma Marketplace istituito dal Museo degli Artisti del Bronx.
Su di lui è stato scritto molto: molte recensioni ed articoli sono usciti sul New York Times, sul The Village Voice, sul NY Arts Press, su Exibart, su Vogue e su altri prestigiosi organi d’informazione.
Oltre che negli Stati Uniti ha esposto le sue opere a Copenhagen, a Tokyo ed in Italia.
Nel 2010 Allen è stato selezionato nell’ambito del progetto
Alive Shoes per creare un'opera site-specific ad Ancona, in Italia. Alive Shoes è una rinomata azienda che vuole fondere l'arte con la moda, lavorando con un ristretto gruppo di artisti internazionali, severamente selezionati. Il contributo di Allen, l’istallazione  Striped Arch, è stata eseguita nel marzo 2010 presso l'arco di Porta Pia di Ancona.
Nell' autunno 2010 Brooklyn Arts Press ha pubblicato una monografia sul suo lavoro.

Questa pubblicazione su Jonathan Allen esce in occasione della sua mostra personale, organizzata dalla Real Arte che si terrà dall’ 11 dicembre 2010 all’ 11 gennaio 2011, presso l’ampio spazio espositivo di Sant’ Elpidio a Mare. Con questa mostra, così come con questo lavoro editoriale, si vuole raccontare Jonathan attraverso i testi critici di coloro che lo hanno conosciuto e ne hanno apprezzato l’uomo, ancor prima dell’artista.
Dalle opere in mostra traspare la vera essenza di Jonathan Allen, artista che non è mai spaventato dal dinamismo che lo circonda, artista che non lavora per cercare di razionalizzare un disagio anzi, prende le qualità del proprio rapido contesto per riempire di ottimismo e di costruttività il suo mondo già tanto sfaccettato e colorato, mondo che lui magistralmente traspone sulla tela.


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"È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?" Dostoevski, L'Idiota
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