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L’indivisibilità dell’immediatezza: Picasso e la visione che ferma il movimento.
da Rosalind Krauss, The Optical Unconscious, 1993
di
Giacomo Belloni

Ci ricordiamo quegli intellettuali parigini che negli anni 60 avevano lo sguardo sempre sulla televisione per guardare lo spettacolo del dolore offerto dal catch.

Se negli anni 50 si entrava a La Californie, si rimaneva colpiti dall'autosufficienza di Picasso, dai suoi comportamenti -
torso nudo, pantaloni da ergastolano a rigoni - e dagli oggetti che aveva in casa - una fortezza eretta contro il mondo - dove una televisione sempre accesa trasmetteva gli incontri di catch: la sua passione.
Come dice Barthes in
Miti di oggi (Mythologies, 1954): è il grande spettacolo del dolore, della disfatta, della giustizia. Il catch espone il dolore umano con tutta l'amplificazione delle maschere tragiche [...] ha il compito di mimare un concetto puramente morale: la giustizia. L'idea di ripagamento è essenziale e il "fagli male" della folla significa prima di tutto "fagliela pagare".

Charlot, tanto amato da Picasso, ha saputo far sua proprio questa moralità popolare, unità al fascino televisivo di una visione dal battito costante di un'immagine che vive per merito della corrente elettrica che alimenta centinaia di linee su uno schermo. Tutti i critici pensavano che, ad attirare Picasso al catch fosse quell'iconografia popolare che lui ha poi espresso con i clown, gli ubriachi, i vagabondi e i giocolieri.
Queste convinzioni furono supportate dalla sua amica Helene Parmelin, la quale conosceva bene cosa ne pensasse Picasso su ciò che considerava il successo immeritato e sempre crescente di Duchamp e dei suoi Readymade, tanto da scrivere l'
Arte degli anartisti, un pamphlet nel quale esponeva, condividendolo, lo sdegno di Picasso per il francese.
Tuttavia, dice la Krauss, i Rotorilievi non hanno nulla dell'
antiarte ma fanno parte di un'iconografia astrattista ed il loro battito ritmico, le loro pulsazioni, evocano il fascino dell'ascoltatore davanti alla spirale del giradischi.

Verso la fine degli anni 50 Max Ernst rievoca, attraverso le pagine di Nature, rivista scientifica edita a fine ottocento, il fascino che alcuni dispositivi ottici, tra cui lo zootropo, inducevano nei suoi lettori. Qui il movimento non era continuo ma intermittente, a causa delle piccole aperture che si aprivano intorno al tamburo del dispositivo. Era lo stesso movimento singhiozzante, ritmico e a scatti che si viveva con le immagini dei primi cinescopi, lo stesso ritmo dei movimenti ritmici di Charlot.
D'altronde le fotografie di Marey e di Muybridge, con le loro sequenze fotografiche, preparavano proprio a questa visione cadenzata.

Helene Parmelin non faceva altro che estendere i pensieri sulla visione di Picasso, quando le diceva che il compito della pittura non era quello di rendere il movimento ma di fermarlo, di bloccarlo; bisogna allontanarsi dalla movimento per poterlo fermare "
altrimenti si rincorre" [...] Per me il compito della pittura non è quello di rendere il movimento; il suo compito è piuttosto quello di riuscire a fermarlo.
il
silenzio totale era ciò che Picasso cercava per e nelle sue opere; uno sguardo sospeso nella suggestione perpetua della corsa tra la lepre e la tartaruga.
Helene pensa quindi che le condizioni della visione debbano essere questo: un
batter d' occhio con la sua indivisibilità dell'immediatezza.

Ernst al contrario, dilata questa immediatezza, concentrando la sua visione sullo schermo della palpebra chiusa dove proietta le pulsazioni dello zootropo. Ciò che accomuna Duchamp e Ernst è l'utilizzo delle forme della cultura di massa; Duchamp e Ernst incarnano il visivo facendo recitare il ruolo dell'interprete primario dell'occhio contro l'ottica disincarnata della cultura modernista. L'occhio è organo preposto per recepire l'immagine, inoltre, spesso, vi è un rimando ad una dimensione erotica. Il loro battito perturbante è simile a quello che vuole cogliere Giacometti con la sua Boule Sospendue.

Per Helene Parmelin, nel riproporre le convinzioni di Picasso, tutto ciò che distoglie dalla
forma, ma soprattutto dal silenzio che la genera - il rumore della strada, lo stridore delle cicale così come il tremolio dell'aria surriscaldata - diviene uno sfondo che disturba il silenzio necessario per far risaltare la forma.

Questa separazione sfondo-forma, ottenuta esteriorizzando il tempo dal visivo, tipica del modernismo, è proprio ciò che gli artisti dell'inconscio ottico tentano di superare, insistendo sul fatto che il battito non è un fattore temporale.

LA MATRICE
Il modernismo concepisce la
figura in due ordini precisi e differenti:

  • 1) la visione empirica: l'oggetto reale, quello visto effettivamente dall'occhio (la condizione rifiutata dal modernismo),

  • 2) la forma pura: quella delle sue possibilità formali; quella che la Krauss chiama: la forma visibile ma non vista.

  • Ma c'è un terzo ordine di figura, quello perseguito dagli artisti dell'inconscio ottico, quello della matrice. Questa figura, completamente al di fuori della vista, è qualcosa che è conosciuto solo intuitivamente e che, a volte, si esteriorizza attraverso situazioni come il lapsus, il sogno ad occhi aperti, il fantasma.

    A questo medium, situato sotto il livello del visibile, Lyotard dà il nome di matrice. [...] Catturati contemporaneamente dall'ambito inconscio di questo piacere e dalla sua forma mediatica - cioè il rapporto con la serializzazione meccanica - gli artisti dell'inconscio ottico s’interessavano agli strumenti della cultura di massa.
    (Krauss)

    Durante gli ultimi 20 anni della sua vita Picasso però inverte la rotta e cerca di inserire il movimento in alcuni dei suoi lavori.
    Un esempio per tutti: i disegni eseguiti su quaderno dal titolo
    Le Dejeuner sur l'herbe, un lavoro terminato in circa due anni e mezzo. Ogni pagina riporta su quella sottostante i tratti calcati del disegno superiore, in modo questo possa essere ripreso ed è eseguito "quasi" serialmente foglio dopo foglio. Ogni disegno cambia di poco rispetto a quello del foglio superiore, in modo che l'interezza riproduca in sequenza, come un flipbook, quasi meccanicamente ed in serie, un movimento pulsante. Un battito che produce piacere nella visione dello spettatore ma che, come nello zootropo di Ernst, intrappola Picasso in un meccanismo pulsante.

    io@giacomobelloni.com


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