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LA NASCITA DELL'INFORMALE ITALIANO
di Giacomo Belloni


Tentare di dare una giusta collocazione storica ed un corretto posizionamento culturale all'Informale italiano non è un'impresa semplice. Proprio per quel suo essere fenomeno tardivo, una sua identificazione subisce la tipica fumosità per essere il riflesso di una luce che, in Europa e negli Stati Uniti, aveva già brillato durante il decennio precedente. Questo ha delineato contorni poco nitidi, per cui, come ben delinea Pasini, una sua identificazione richiede un duplice tentativo: una definizione più ampia, larga appunto, delimitata dai confini di un periodo storico-artistico nel quale inserire i tentativi e le ricerche portati avanti in un ambito temporale definito, quello sviluppatosi intorno agli anni 50, ed una seconda definizione più caratterizzante, stretta, limitata dalle caratteristiche stilistiche, nella quale racchiudere la più dirompente e icastica pulsione gestuale [...] di una pittura che non conosce progetto. (Pasini)
Si vuole quindi tentare di analizzare questo fenomeno storico-culturale, non tanto come movimento o compagine definita di artisti che hanno condiviso gli stessi intenti, ma come opportunità poietica, formale e stilistica, che si è venuta a materializzare grazie ad una serie di fattori unici e determinati. L’Informale non si è mai definito in maniera chiara - non sarebbe stato possibile - al contrario di com’è avvenuto per altri movimenti che si sono costituiti in gruppo intorno alle intenzioni espresse da un manifesto che ne raccoglieva i propositi. Al contrario, in ciò che provava a comprendere questo termine non si sono riconosciuti nemmeno i suoi più importanti esponenti e, colui che ne è stato il più autorevole teorico, Tapié, quando l'
informel ha assunto connotazioni troppo accademiche, nel '56, ne ha immediatamente preso le distanze. La difficoltà nell’affrontare il fenomeno dell’Informale italiano sta proprio nella difficoltà che si incontra nel determinare un denominatore comune tra le tante posizioni, siano esse individuali o collettive, che sono riscontrabili intorno alle ricerche segnico-materiche degli anni cinquanta. Con questo termine possono essere racchiuse le esperienze artistiche che portano in sé una matrice astratta, - nel vero significato del termine - ovvero con un presupposto forse, ma non sempre referenziale, sicuramente senza alcuna premessa progettuale o aprioristica. Nel suo ambito si intendono le tante sperimentazioni, già anticipate da pochi visionari negli anni trenta, che hanno preso consistenza - perlopiù in America ed in Francia - nel decennio precedente, e che hanno trovato una felice continuazione in Italia negli anni Cinquanta.
Come sempre accade, le situazioni si concretizzano quando divengono maturi e possibili gli scenari disposti ad ospitarle e pronti a dare loro la giusta ribalta. Sicuramente le esperienze americane e francesi, sviluppatesi già durante gli anni '40, hanno permeato le atmosfere creative nel nostro paese del secondo dopoguerra con importanti e significativi spunti, sia per quei critici che per quegli artisti che erano alla ricerca di nuove ragioni di sperimentazione, ragioni che volevano trovare nuove occasioni di ripartenza e nuovi presupposti. Il razionalismo italiano, radicatosi nei decenni precedenti come propagandismo monumentale di regime, doveva essere estirpato per lasciar spazio a nuovi concetti, anche artistici, che tenessero in considerazione l'uomo e le sue complessità, le evoluzioni tecnologiche e scientifiche e la determinazione nel non ricadere nuovamente in schemi tanto devastanti come quelli che avevano portato alla
debacle appena conclusa.
La Guernica aveva fortemente influenzato il dibattito culturale italiano. La sua potenza, sia politica che formale, non era passata inosservata nel nostro paese per ragioni che ben si incarnano nell'opera di Picasso: la prima, quella politica, non poteva essere disattesa proprio per quella frustrazione connaturata al senso di colpa di un paese che aveva consapevolmente legittimato un regime durato per oltre un ventennio, permettendogli quelle sopraffazioni che intrinsecamente proprio l'opera di Picasso rigettava. La seconda ragione, non meno importante, veniva dall'accettare quasi passivamente le novità esterne ad un mondo che per troppo tempo era rimasto artisticamente e culturalmente isolato. Non si è avuta la corretta obiettività nel considerare un'opera di tale importanza che ha quindi ulteriormente rallentato il recupero del tempo perso. Oltretutto, le istanze realiste, tanto caldeggiate dal movimento di Corrente, alle quali si aggiungevano le ingerenze del partito Comunista - con interventi diretti addirittura del suo segretario Togliatti -, lasciavano poco spazio per posizioni autonome o fuori da schemi così fortemente consolidati. Se non fosse per la forza e per l'energia di personalità autonome, uniche in grado di opporsi all'ingerenza politica all'interno delle vicende dell'arte, probabilmente i risultati sarebbero stati molto differenti. C'è oltretutto da aggiungere che le posizioni di sudditanza politica prese da alcuni artisti di primo livello, hanno fortemente frenato i discorsi che, oltre confine relegavano l'Italia in un ambito fortemente provinciale, debole del fatto che la spinta forte del Surrealismo aveva solamente lambito di riflesso il nostro paese negli anni che avevano preceduto il conflitto. Insomma, per noi è stato molto complesso passare da un post cubismo raccontato direttamente all'Informale senza le radici di Breton o la mediazione dei Cobra.
Salvo pochi casi, come Fontana, Burri, Raccagni, e Milani, il già consolidato Informale approda nel nostro paese solamente nel decennio successivo, e comunque non prima del '54, anno in cui le pari vicende americane stavano concludendone le sperimentazioni.
Se già le prime avvisaglie di incompatibilità tra i tradizionalisti e i veri rivoluzionari si ebbero nel luglio del 1947, durante la mostra del Fronte Nuovo delle arti che si tenne alla Galleria della Spiga di Milano, il vero momento di emancipazione può essere individuato nel 1948, quando a Bologna, in occasione della Prima mostra nazionale d'arte contemporanea, il contrasto tra le posizioni porta ad una vera e propria scissione tra realisti e astrattisti. Da lì le strade si dividono nettamente, prendendo connotazioni specifiche: da una parte rimangono i Guttusiani, mantenendo una loro figurazione di stampo realista, con sofisticate declinazioni post cubiste ma con iconografie populiste, quindi con scarse possibilità di clamorosi sviluppi, dall'altra, invece, fiorirà un clima di confronto creativo di raro spessore.
Gruppi come Origine, il gruppo degli Otto di Lionello Venturi, lo Spazialismo, il movimento Nucleare, così come personalità di assoluto rilievo come Fontana, Burri, Morlotti caratterizzeranno uno dei momenti più fervidi della nostra storia dell'arte. Il confronto quasi scontato tra le posizioni legate a, una tradizione di stampo naturalista tipicamente padana, volutamente locale e di matrice nordico bolognese, a quelle detonanti milanesi dello Spazialismo e del Nuclearismo, fin ad arrivare a quelle astrattiste romane come Forma 1, saranno i bacini dove attingerà a piene mani la poetica dell'informale italiano. Anzi, si può dire, senza paura di smentita, che l’Informale ha offerto una scappatoia allo stallo che si era venuto a creare dopo che l’euforia per le posizioni dell’Astrattismo iniziavano a scemare.
io@giacomobelloni.com


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"È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?" Dostoevski, L'Idiota

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