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ANNI '50: LA TERZA POSIZIONE.
La pittura d'immagine di Osvaldo Licini.
di Giacomo Belloni
L’informale aveva offerto una via d’uscita dall’oramai sterile contrapposizione fra arte astratta e realista, ma l’opera delle avanguardie d’inizio secolo indicava un’altra strada, che nessuno aveva ancora percorso: artisti come Paul Klee e Constantin Brancusi non erano stati figurativi né astratti, avevano usato forme e immagini del mondo visibile non per una rappresentazione oggettiva della realtà, ma per l’espressione soggettiva di un mondo interiore, di un pensiero o di un sentimento; come elementi di un linguaggio artistico individuale che poteva ritrovare rispondenza negli archetipi del profondo più che non nelle convenzioni o nella logica.
(Marina De Stasio)

Se l’evoluzione dell’arte italiana dopo il trauma della guerra si esplicitava in due posizioni dominanti - il consumato tradizionalismo realista e l’avanguardia detonante offerta dall’Astrattismo - una terza via si materializzava discretamente, su basi meno altisonanti, ma altrettanto strutturate.
Il presupposto di partenza non era, in questo caso, quello di una completa rifondazione della rappresentazione artistica basata sul voler cancellare tutte le posizioni precedenti, sul voler ripartire daccapo, ma il continuare gli schemi sperimentati da Klee attraverso una linea faconda che si contrappone alle forti campiture colorate, linea che consente una figurazione fortemente narrativa.
Questa è la pittura fantastica di Osvaldo Licini, pittore troppo spesso erroneamente considerato astrattista, posizione che tra i primi assume intorno agli anni '30, ma che abbandona a favore di una potente lirica segnica. Il suo periodo più rappresentativo è appunto quello denominato del
figurativismo fantastico, iniziato nel 1938, quando si rende conto che l’astrattismo non gli è più sufficiente per esprimere le proprie intenzioni artistiche. La sua strada diviene quella di una lirica poetico – figurativa. Nelle sue opere inizia la scalata al cielo: i suoi personaggi fantastici sono infatti condannati vagare alla deriva nei suoi cieli colorati.
Come Klee prende a prestito solamente l'essenza della referenza, per esprimere profondità intime e romantiche, favole interiori che sembrano volere esteriorizzare stati precostituiti. Icone riconoscibili popolano le sue opere: dall’
olandese volante alla stessa luna del sua conterraneo Leopardi, le Amalassunte, dall’angelo ribelle all'angelo diavolo.
L’Olandese Volante è un marinaio condannato ad errare eternamente per aver sfidato Dio. È la metafora dell’impossibilità della conoscenza, del peccato di orgoglio che induce l’uomo a non accettare i propri limiti.
L’Amalassunta è
invece “la luna nostra bella, garantita d’argento per l’eternità, personificata in poche parole, amica di ogni cuore un poco stanco” (Licini), è la regina ostrogota e insieme la dea della mitologia, dea dell’oltretomba che governa i parti e le maree, i cicli naturali delle le nascite e le rinascite;
Osvaldo Licini nasce e muore a Monte Vidon Corrado, nelle Marche, luogo di fondamentale importanza per poterne comprendere la poesia visiva. La sinuosità morbida delle sue colline marchigiane, osservabili dalla terrazza della sua casa, ha fortemente suggestionato le sue opere. Per lui questo luogo ha sempre avuto un ruolo determinante come fonte di ispirazione: ma sono salvo, il conforto della solitudine e la piena natura a Monte Vidon Corrado (sono venti giorni che sono ritornato), mi hanno completamente rimesso. (Licini)



Osvaldo Licini, Amalassunta 1946

La sua pittura spazia tra Picasso e il surrealismo, tra il simbolismo nordico (la moglie era appunto svedese) donando atmosfere oniriche cariche di poesia malinconica e di passione ingenua.

Oltre all'opera di Osvaldo Licini, nello stesso periodo, e sempre per continuare a parlare di
pittura d'immagine, si evidenziano gli artisti romani del Portonaccio (dal nome del loro quartiere), per la loro partecipazione alla Biennale del 1950. Renzo Vespignani ne ricorda le impronte fondanti nella pittura segnica di Goya, nel naturalismo di Courbet e nella linea di Ingres. Nelle opere dei pittori del Portonaccio si respirano le atmosfere silenziose dell'abbandono, le periferie devastate caratterizzate da un'attesa silenziosa. I cieli sono spesso scuri e spettrali.


io@giacomobelloni.com


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