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What do pictures want? Cosa voglio (davvero) le immagini
di Giacomo Belloni

William J. T. Mitchell è considerato uno dei più autorevoli esponenti dei nuovi visual cultural studies. Nel saggio What do pictures want? (pubblicato in Pictorial Turn, Saggi di Cultura visuale) egli analizza l'efficacia delle immagini, immagini che considera al pari dei soggetti viventi, con tanto di volontà propria, ma soprattutto di desideri propri. Ed è a causa proprio dei loro desideri che paragona le immagini alle categorie subalterne - quelle a cui appartengono sessualità ed etnia - proprie dell'uomo di colore e della donna. Così facendo Mitchell abbassa le immagini ad un livello di non potere, mettendole in condizione di essere meno influenti e decisive, di avere una volontà leggera, delicata.
Il suo è un approccio completamente nuovo, proprio perché mette al centro la
debolezza. Solamente in questo modo diviene possibile dare loro una giusta collocazione, quella che ci consente di chiedere delicatamente cosa desiderano, What do pictures want?.
Dotandole di una loro individualità egli richiama il totemismo, l'idolatria, il feticismo e l'animismo - come tra l'altro avevano già fatto Marx e Freud -, pratiche in cui le immagini presentano un ruolo attivo e partecipe. In questo caso però le immagini esprimono
desideri discreti, proprio come quelli che si riscontrerebbero nel caso delle donne e degli uomini di colore.
Mitchell ci tiene a specificare che non si vuole occupare solamente di immagini famose o di grandi opere d'arte.
Per uscire dallo stereotipo del potere che le immagini si portano inevitabilmente dietro, Mitchell ribalta il discorso: da un presunto
volere, sintomo di potere, passa a ciò che desiderano; dal potere al desiderio. In sostanza mette a latere qualsiasi velleità di invadenza legata esclusivamente ai meccanismi di dominanza, di potere appunto, a vantaggio di una forma di un'apparenza più discreta ma comunque partecipe, quella del potere debole, che si nasconde dietro la domanda cosa desiderano, piuttosto del cosa vogliono.

Per comprendere appieno quelli che sarebbero i loro
desideri, le immagini devono essere considerate al femminile; esse vogliono essere ammirate, per cui devono attrarre a loro lo spettatore, costringerlo a fermarsi per essere guardate, per immobilizzarlo. Devono riuscire a scambiare con lui posizione e ruolo: devono divenire a loro volta immagine, in modo possa verificarsi il magnetismo dell'effetto Medusa.
Ecco che le immagini divengono soggetti partecipanti, essere
desideranti. La loro domanda alla quale rispondere per dare a loro una collocazione deve quindi essere: cosa esse desiderano?. Anziché guardare le immagini come portatrici di significati politici o veicoli di potere bisogna domandarsi Cosa vogliono, cosa desiderano?

Mitchell utilizza qui volutamente l’immagine fotografica, generalmente utilizzata per fini pubblicitari o propagandistici, ma anche politici. Questa, più che esercitare un potere su chi la interpreta, comunica
mancanza piuttosto che desiderio.
Ecco alcuni esempi. Il primo è il famoso I want you (for US Army) di Montgomery Flagg. Il reale obiettivo di questa immagine è reclutare chi la guarda, mandarlo in guerra, ma dietro a ciò c'è di più: una presunzione di potere. Un uomo anziano, di età e classe sociale differente dal malcapitato osservatore, obiettivo della sua propaganda. Inoltre la figura sembra richiamare lo Zio Sam Wilson, storico fornitore di carne per l'esercito. L'utilizzo di questa icona ne scredita ulteriormente l'efficacia, in quanto sembra voler reclutare non soldati, ma una mandria di bestiame pronta per il macello. Cosa desidera dunque quest'immagine si scopre solamente dopo una attenta riflessione: desidera mandare a combattere ingenui ragazzi appartenenti ad altre razze, possibilmente disagiate, poveri, tutti gli altri, ma non i loro figli. È intrinsecamente evidente il simbolo più congruo di una nazione in mano a uomini anziani e benestanti.
Quindi Mitchell analizza
The jazz Singer, immagine esemplare nel manifestare una mancanza, a partire dal rapporto tra sfondo e figura - un contrasto tra la nettezza dei bianchi e dei neri che si invertono rispettoso alla realtà. Un uomo di colore porta con sé l'evidenza dei propri caratteri somatici ma è qui espresso per mezzo del bianco che fa intuire la figura. Ciò che non vediamo, il nero, è ciò che vorremmo vedere. La mancanza che non è solo nella figurazione ma rimanda al pensiero inconscio di uno spettatore che pensa "nero", senza che venga mai espressamente menzionato.
Si potrebbe dire lo stesso per alcune miniature bizantine dove è il viso è quasi cancellato dal ripetuto contatto con la bocca del fedele. Queste immagini offrono se stesse in una condivisione di
desiderio immagine-spettatore, un desiderio che si esplicita proprio attraverso una mancanza.
A tal riguardo Michele Fried sostiene che l'arte moderna si regge sulla negazione del desidero stesso.
A volte l'immagine diviene eloquente proprio attraverso una negazione di partecipazione, una chiusura al mondo, una totale indifferenza. Essa fa credere di non aver bisogno di nulla, si basta,
il desiderio di non mostrare desiderio (Lacan). Questo è il caso dell'opera di Jean Baptiste Simon Chardin Bolle di sapone o della Zattera della Medusa di Theodore Gericault, cui tutto è espresso in un'indipendenza totale, un'autonomia che diverrà il punto nodale dell'astrazione modernista.
L'opera di Barbara Kruger
"Your gaze hits the side of my face" dimostra anche qui un'estraneità "pietrificata". La scritta e l'immagine quasi assente, con gli occhi bianchi, marmorea e di profilo, insieme alla scritta, si avvicendano in un'alternanza tra non interesse ed invito alla partecipazione.
Anche qui lo spettatore è rapito dallo sguardo mortale del a Medusa e confuso dalle molteplicità di lettura che quest'immagine offre.

Quindi,
cosa vogliono veramente le immagini? What do pictures want? Sicuramente ciò che bramano non coincide con il messaggio che portano con loro o con l'effetto che scatenano. Esse possono anche non sapere esattamente cosa vogliono, proprio come succede per le persone.
C'è poi da aggiungere che le immagini che Mitchell prende in considerazione sono quelle comuni, quelle che fanno parte della vita di tutti i giorni, quelle che effettivamente influenzano e fanno proprio il sentire comune. Non per forza le opere maggiori o più conosciute, ma anche ciò che non entrerebbe mai in un museo o in una galleria. Solamente così è possibile eliminare le distinzioni tra cultura alta e bassa e le distinzioni che creano tale suddivisione.

io@giacomobelloni.com


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"È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?" Dostoevski, L'Idiota

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