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Iconoclash
di Giacomo Belloni

Nella complessità di un mondo tanto saturo di immagini come è quello di oggi si assiste a ciò che Bruno Latour chiama
Iconoclash, ovvero a quel processo per il quale le immagini si affermano e si negano allo stesso tempo.
Iconoclash è un termine che rimanda alla omonima mostra organizzata da Bruno Latour e da Peter Weibel, Iconoclash appunto, presso il ZKM di Karlsruhe nel 2002.
Con
Iconockash egli intende un’ambiguità, un’esitazione su come si devono interpretare rispettivamente la creazione d’immagini e (contemporaneamente) la loro distruzione. Il termine include quell'area ambigua in cui non è chiaro se l'immagine debba sopravvivere o essere distrutta, in cui si scatenano reazioni di iconofilia e, allo stesso tempo, di iconofobia.

Le immagini sono sempre state terreno di scontro per quella loro caratteristica di non essere mai neutrali; esse non possono rimanere inosservate o indifferenti, al contrario,
scatenano passioni.
Iconoclash
è quella zona di confine, il terreno di scontro tra quelle immagini intese come schermi devianti, da eliminare per ricondurre verso una verità non mediata e quelle immagini considerate come qualcosa di necessario e fondamentale per un accesso diretto a Dio, alla Natura, alla Verità e alla Scienza.
Nel corso della storia sono stati innumerevoli gli atti di eliminazione, profanazione, distruzione e censura, nei confronti di immagini accusate di ricoprire una funzione pericolosa, a volte persino peccaminosa.
Nonostante tutto sappiamo bene che
non possiamo vivere senza immagini, senza intermediari, senza mediatori, esse sono l’unico modo per accedere a Dio, alla Natura, alla Verità e alla Scienza.
Ciò che Latour vuole mette in evidenza è che
non c’è - comunque - alcun modo di fermare la proliferazione di icone, idoli, oggetti, segni. Non importa quando si sia inflessibili nella distruzione dei feticci e nel vietare il culto dell’immagine: i templi verranno comunque costruiti, saranno fatti dei sacrifici, gli strumenti saranno messi in campo, le iscrizioni attentamente incise, i manoscritti copiati, e migliaia di gesti dovranno essere inventati per raccogliere ancora verità, oggettività e santità.
Latour sostiene che le immagini sono comunque sempre necessarie e vietarle non sarebbe altro che un modo per crearne di nuove.
Da una parte quindi l'iconoclastia, dall’altra l'iconofilia.
Iconoclash è quando non si sa, o si esita, o si è in difficoltà di fronte ad un’azione per la quale non c’è modo di sapere, senza ulteriori indagini, se sia distruttiva o costruttiva.
Noi siamo portati naturalmente a fare distinzioni nette, iconoclastia o iconofilia; Iconoclash è una terra di mezzo, di indecisione. è ciò che accade quando si è incerti riguardo l’esatto ruolo della mano al lavoro nella produzione di qualche forma di mediazione. È una mano che impugna un martello pronta a smascherare le illusioni, a denunciarle, a screditarle, a rivelarle […] per liberarci dal loro potere. Oppure è, al contrario, una mano premurosa e cauta […].

Nell'omonima mostra si sono volute analizzare le tre aree in cui si incontra iconoclash: religione, scienza, arte contemporanea nonché come queste interferiscano tra loro. Le prime, quelle religiose, non sono mai scevre dal giudizio estetico; “Distruggerete i loro altari, spezzerete le loro stele e taglierete i loro pali sacri”.
Quelle scientifiche sono spesso colpevoli di voler mostrare troppo; nella loro oggettività e freddezza, ma soprattutto senza mediazione alcuna, ci offrono una crudezza a volte inaccettabile.
Nel caso dell’arte contemporanea non ci sono dubbi che qui le immagini sono interpretazioni, prodotte dalla mano di qualcuno. La contemporaneità ha avuto la capacità di fare a pezzi la rappresentazione mimetica, per cui, in questo caso vi è un tipo differente di
Iconoclash: più l’arte è diventata sinonimo di distruzione dell’arte, e più ne è stata prodotta, valutata, discussa, comprata, venduta e, sì, venerata. Sono state prodotte nuove immagini così potenti che è diventato difficile comperarle, toccarle, bruciarle, ripararle e persino trasportarle […] una sorta di distruzione creativa.

Una cosa è certa, l’uomo non potrà mai smettere di produrre immagini, le sue mani non potranno mai fermarsi. Ma, si domanda Latour, come è possibile
sopravvivere con questo doppio vincolo senza impazzire? I templi verranno comunque costruiti, saranno fatti sacrifici, gli strumenti saranno messi in campo, le iscrizioni attentamente incise, i manoscritti copiati, si bruceranno incensi, a questo non si può sfuggire, eccetto che - qualora si giudichi ciò deviante - negare di averlo fatto e nascondere il proprio prodotto; insomma, ce n'è abbastanza per far impazzire una persona.
Si chiede quindi Latour come sia possibile evitare che questa mostra diventi a sua volta iconoclastica. Le intenzioni dei curatori sono quelle di essere tra quelli a favore di un mondo pregno d’immagini, piuttosto che senza, che siano per
un flusso ininterrotto e una cascata d’immagini.

io@giacomobelloni.com


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"È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?" Dostoevski, L'Idiota

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